PRIMO CLASSIFICATO ONE SHOT
Christian Sorrentino
Percorrendo via Artom, si rimane colpiti, principalmente da tre situazioni; il cambiamento, la voglia di crescere e svilupparsi, trasmessa dai cantieri aperti. La numerosa presenza di giovani e infine, in modi diversi, la corsa al divertimento verso il parco, il campo da calcetto e lo skate park. Questo scatto è il riassunto di ciò cha hanno visto i miei occhi.
SECONDO CLASSIFICATO ONE SHOT
Roberta Arias
Il contrasto tra la gabbia all’esterno e la bellezza, all’interno, di giocare nel campetto da calcio.
Si pensa spesso che la gabbia sia dentro, questa volta invece è fuori, lontano.
L’impressione, infatti, è che i ragazzi in via Artom si sappiano ancora divertire con poco.
Uno spettacolo quotidiano, illuminato dai lampioni, sotto un cielo di speranze. All’arrivo della sera due tiri al pallone e tutto il resto non esiste più, lo si lascia fuori. L’isola felice è qui dentro.
TERZO CLASSIFICATO ONE SHOT
Daniele Sorano
Io sono il futuro
Ma è solo un futuro schizofrenico se non so chi sono, da dove arrivo, quali sono le mie radici.
Mi tengo forte a queste catene, mi impediscono di cadere, ma la spinta che sento è più forte della paura. La gioia della vita sprizza fuori da ogni mia cellula. Tutto vibra della mia energia.
MENZIONE ONE SHOT
Dario Arancione
Progetto ARTOMobili
1100 R Familiare (1966). Dino 2000 Coupé (1967). 126 (1972). X19 (1972). Ritmo (1979).
Più di quarantanni dopo la costruzione di via Artom, le ormai storiche Fiat fanno ritorno ai luoghi che ospitarono gli operai che contribuirono alla loro produzione.
Via Artom: un viaggio (in automobile) dal passato al presente.
Un colpo di clacson per salutare il futuro.
PRIMO CLASSIFICATO ONE LOVE
Emanuele Selva
Ricordo via Artom quando da piccolo si andava al centro sportivo. Ricordo i miei genitori che parlavano di questa zona come un posto poco raccomandabile; col tempo e la distanza ne feci, nel mio immaginario, come qualcosa da temere e da evitare.
Oggi, tornandoci da adulto, posso dire che molto è cambiato. Grazie a questo concorso mi sono ritrovato a “camminare” il quartiere e quelle vie che avevo sempre tenuto “idealmente” lontane. E a rimanerne colpito.
Ciò che ho assunto in buona sostanza da via Artom è un grado di comunicazione assolutamente positivo e adeguato a una scala degna d’essere a misura d’uomo.
Se in un angolo mi imbatto in un dibattito acceso ma conviviale fra anziani, in un altro in un bel trick di skateboard, in un altro ancora nel vivo di una partita di calcio. Se in un angolo posso lasciare agevolmente la macchina, posso raggiungerne un altro per fare le mie compere e sentirmi sicuro anche a piedi. Allora via Artom è un posto che posso vivere.
Ho trovato poi prezioso il rapporto persona-abitato tutt’altro che disequilibrato: sembra cioè che la vicenda umana, anche nella sua dimensione più piccola, sia il punto di partenza della scena urbana. Significato spesso dimenticato in molti contesti urbani.
Ed è quel rapporto (misura-comunicazione, costruito-uomo) che ho inteso rappresentare nel mio racconto fotografico.
SECONDO CLASSIFICATO ONE LOVE
Marco Carulli
Un quartiere per tutti.
Dinamico, in evoluzione, dove una nuova architettura è progettata intorno alle esigenze di un uomo moderno.
Il parco, fulcro di incontri, di integrazione, luogo di ristoro, di sport, di divertimento, di infanzia, di confronto tra mondi diversi.
Grandi spazi che creano nuove prospettive. Un pezzo di città colorata che si affaccia su una campagna lussureggiante.
TERZO CLASSIFICATO ONE LOVE
Enrico Grande
Fin da piccolo via Artom è stata per me sinonimo di paure e pericoli. Da ragazzino, infatti, ero solito giocare a pallone con gli amici dell’epoca poco distante dalla famigerata via. E ogni tanto capitava che si spargesse la voce tra noi, piccoli calciatori in erba, che stesse arrivando qualcuno da via Artom. Cosi scattava un fuggi fuggi generale e le nostre partite venivano temporaneamente sospese. All’epoca, si parla di circa una ventina/quindicina di anni fa, via Artom faceva paura. E le persone che ci abitavano ne facevano ancora di più. Quindi, quando qualcuno arrivava gridando che stavano arrivando “i via Artom”, era gioco forza correre ai ripari per evitare di tornare a casa senza pallone e magari con un occhio nero.
Ho fatto questo breve prologo per spiegare quale fosse la mia percezione di via Artom ai tempi della mia infanzia e sottolineare il sollievo provato quando ho saputo di questo concorso fotografico. Ho letto le modalità di partecipazione e ho letto del progetto di riqualificazione dell’intero quartiere. E cosi, con non poca curiosità, mi sono addentrato in quello che percepivo come uno dei posti più pericolosi del mondo, secondo solo a qualche zona di Caracas. E, pensate, l’ho fatto con tutto il mio corredo fotografico! Povero pazzo! Una preda cosi facile non si era mai vista! E invece sono tornato a casa sano e salvo, con ancora il mio pallone e senza occhi neri! Miracolo? Forse solo la naturale evoluzione di ciò che succede quando si decide che non ha senso perdere intere zone delle nostre città per lasciarle in mano a chi non conosce altro che la violenza. E quindi ci si rimbocca le maniche e si fa del proprio meglio per ripulire fino in fondo l’immagine di un quartiere che già allora vantava onesti lavoratori e persone per bene, ma che era più semplice bollare come “Zona Rossa” e lasciare che la vita (o non vita) scorresse secondo le proprio regole!
Nel mio reportage mi sono concentrato sulla gru blu che sta contribuendo a costruire la nuova faccia del quartiere. L’ho usata come filo rosso per le mie prime quattro fotografie. Ma nella quarta ecco che la gru cede il testimone al bambino che, insieme ai suoi amici, gioca nel campo da calcetto di recente costruzione, il quale, a sua volta, lascia che sia l’arcobaleno che accompagna le ultime due foto a decretare la parola fine. L’arcobaleno arriva sempre dopo la tempesta e ci prepara al tempo sereno. Ho pensato che una chiusura del genere fosse la più indicata. Dopo gli anni bui è forse arrivato il momento di scorgere l’arcobaleno e il sole che verrà.
MENZIONE ONE LOVE
Antonio Fiscarelli
“Bottom-up” e “top-down” sono due espressioni anglosassoni che indicano rispettivamente le politiche “dal basso verso l’alto” e “dall’alto verso il basso”. Nei piani di riqualificazione di via Artom, l’azione sociale, mirante a valorizzare la partecipazione della comunità interessata, pare abbia avuto un ruolo non marginale rispetto alla progettazione a tavolino tra le alte sfere.
Dieci foto divise in cinque coppie: la coppia: 1: Lo sguardo; 2: La certezza; 3: Il tempo; 4: L’inafferrabile; 5: Croci. Cinque vedute diverse sugli edifici e altrettante situazioni umane. Cose e persone hanno una storia in comune (1-2-3), ma esistenze parallele (4 -5).
Bottom-up, top-down... Love Artom
IL REPORTAGE DI LOVE ARTOM
Foto di Stefano Perrucca, Clara Barale, Piergiuseppe Chiaradia, Luca De Bellis, Aldo Manias, Marco Lagattura, Giulia Citeri, Vilma Stroppiana, Vanna Trotta
Un reportage idealmente realizzato dal Progetto Love Artom selezionando foto mandate dai partecipanti al concorso, per raccontare il quartiere, i volti, i luoghi di incontro.