martedì 29 maggio 2007

05-06-07 Nasce il sito www.loveartom.it

E' attivo da oggi il sito internet www.loveartom.it, di cui questo blog intende rappresentare l'appendice più libera e informale, lo spazio in cui i visitatori potranno esprimere i propri commenti e le proprie opinioni, cui potranno inviare fotografie e video.


Invitiamo tutti, gli abitanti di Via Artom, i Torinesi ma anche i visitatori esterni, ad utilizzare questi spazi per tenersi aggiornati su quanto sta accadendo e su quanto accadrà in Via Artom, per esprimere le vostre impressioni sul progetto di rilancio e riqualificazione dell'area.
Due sono gli indirizzi e-mail a vostra disposizione: info@loveartom.it e blog@loveartom.it.

Il Progetto

Il nuovo edificio sarà un complesso a forma di ferro di cavallo, ad uso residenziale e commerciale. Elemento unificante della costruzione è una piastra alta due piani destinata a negozi. Al di sopra dell apiastra due edifici che dalle estremità degradano verso il centro scendendo di due piani per tre volte, e sui tetti originali giardini pensili.

Le scelte progettuali hanno posto grande attenzione al rispetto per l’ambiente, alle tecnologie per il risparmio energetico, all’energia solare e ai materiali ecocompatibili, facendo della nuova costruzione un laboratorio di bioedilizia e architettura sostenibile.



Il progetto è innovativo non solo dal punto di vista architettonico, ma anche da quello urbanistico e sociale: sono stati previsti 39 alloggi in locazione permanente e 32 in proprietà per creare un mix generazionale e sociale, indispensabile in un’area abitata soprattutto da anziani.

Un accordo con i commercianti della zona, inoltre, farà sì che le nuove attività commerciali inserite nella galleria non saranno concorrenziali rispetto a quelle esistenti, ma amplieranno la loro offerta, a tutto vantaggio degli abitanti della zona, con spazi d’aggregazione, proposte commerciali, e conseguenti nuovi posti di lavoro, prioritari e qualificanti per il rilancio del quartiere.

Il Logo

Il marchio ideato per la campagna riassume e contraddistingue lo spirito che anima il progetto e si propone di trasformare Via Artom nella percezione dei cittadini da “periferia” a “centro” attrattivo dell’area metropolitana, per lanciare un messaggio forte e nuovo: via Artom è un luogo da amare.

Il marchio è costituito da due elementi: uno testuale e uno iconico:

- due parole: LOVE ARTOM e un breve claim: “di un quartiere ci si innamora”.

Via ARTOM è parte di Torino e della sua storia già a cominciare dal nome. Via ARTOM ha Torino al centro (ha Torino nel cuore) e Torino ne è indissolubilmente legata.

Chi ama la città, ama anche via Artom.

Per questo nell’evidenziare con il colore giallo la scritta LOVE e TO si è voluto enfatizzare fin dal lettering questa unione. LOVE TO, ma anche LOVE ARTOM. Ama Torino, la tua città, ama via Artom, parte di Torino, luogo pronto a diventare un nuovo centro attrattivo.

- Il logo è un cuore tagliato da un tratto. Questa forma deriva dalla modellazione del perimetro della zona centrale dell’area (il cuore del quartiere appunto), quella composta dal parco Colonnetti e dai palazzi, area in cui verranno realizzati il nuovo complesso edilizio e la piazza.

Un segno morbido che mette in relazione il costruito con il parco, altro punto di forza del quartiere. I due elementi si compenetrano. Via Artom, riassunta in un tratto che fugge dai confini dell’area, li attraversa.

I colori sono il nero che evoca tradizione, eleganza, e il giallo, energia, slancio, quella di un quartiere che non sta cambiando, è cambiato e vuole dimostrarlo.

Quelli di Via Artom - documentario di Stefano Scarafia

Produzione:FILBLUE Ass. Cult.
Durata:29’
Formato:Dvcam, col.
Anno:2005

Miglior documentario Corto Concorso Massimo Troisi 2006
Miglior documentario Festival del Cinema Libero di Roma 2006
Menzione speciale per l’etica e l’estetica Festival Cinema Libero di Roma 2006
Menzione speciale per le musiche Festival Cinema Libero di Roma 2006
Premio Speciale Novaracinefestival 2006
Miglior documentario Reggio Film Festival doc 2006




Mille persone evacuate, 5600 microcariche, 200 chili di dinamite, 500mila euro il costo complessivo dell’operazione per dire addio, in soli quattro secondi, al primo dei due palazzi di via Artom che il Comune ha deciso di demolire.
Tre squilli di tromba a distanza di trenta secondi l'uno dall'altro e il 28 dicembre 2003 la ESPLODEM Service ha posto fine ai 38 anni di storia del civico Garrone 73.
Dopo alcuni mesi è stato a poco a poco smantellato anche il numero 99 di via Artom, nello stesso isolato, a segnare una tappa fondamentale per l’attuazione del Programma di recupero urbano di via Artom.
Nel raggio di circa 150 metri dall’immobile di via Garrone l’evacuazione è stata totale. Qualche migliaio di persone sono state invece "blindate" dentro i palazzi compresi nel secondo anello di sicurezza (da 150 a circa 300 metri) dovendo osservare alcune precauzioni per evitare gli effetti dell’onda d’urto.

Approfondimento: Tavola di demolizione del Palazzo
( si ringraziano il Comune di Torino e l'ATI Enviars-Sicurtec)

Scarica il video in formato wmv (10 mb)

La storia del Quartiere

Via Artom, Mirafiori sud. Un quartiere nella Circoscrizione X di Torino che per anni è stato il simbolo dell'immigrazione e, in un certo senso, dell'emarginazione; un quartiere al limite della città, che pochi hanno visitato ma che tutti conoscono.

Il nome “Mirafiori” deriva dal castello di Miraflores, donato nel 1585 dal Duca di Savoia Carlo Emanuele I alla sposa Caterina D’Asburgo. Vicino al castello, ormai scomparso, si formò un borgo che oggi costituisce il nucleo storico del quartiere. Fino ai primi anni successivi alla seconda guerra mondiale l’attuale Mirafiori Sud era una vasta zona rurale con ville e campi coltivati che presentava per i torinesi diversi motivi di attrazione: l’ippodromo costruito nel 1898 e i numerosi maneggi, i boschi e le spiagge lungo il torrente Sangone, meta di gite e scenario di molti film, il primo campo volo della città, inaugurato nel 1911.
Il 1939 è l’anno della svolta cruciale, con l’apertura dello stabilimento di Fiat Mirafiori. Dall’inizio degli anni Cinquanta Torino diventa così la capitale indiscussa delle grandi ondate di migrazione interna che l’espansione dell’industria automobilistica richiama soprattutto dalle regioni del Sud, con la popolazione cittadina che in dodici anni, dal '53 al '65, raddoppia e quella di Mirafiori Sud che in poco più di un ventennio da circa 3.000 abitanti arriva a circa 40.000. La città si espande a macchia d'olio e gli uffici comunali faticano a governare l'emergenza: mancano fondi per le opere di urbanizzazione di base (strade, fognature, acquedotti) e gravi carenze nei controlli lasciano proliferare una frenetica esuberanza edificatoria. Molte famiglie torinesi vivono in alloggi malsani, mancanti di impianti igienici o in situazioni di sovraffollamento. Per gli immigrati, poi, la situazione è drammatica. Torino, come le altre grandi città del Nord, è impreparata ad accogliere un flusso migratorio così massiccio, anche culturalmente. Quella è l’epoca in cui molti proprietari espongono cartelli con su scritto “Non si affitta ai meridionali”. Questi si ritrovano così a vivere nel casermone di via Verdi, nelle baracche di via Tripoli, nelle casermette di Borgo San Paolo, di Altessano e Venaria, nel villaggio Anselmetti, negli scantinati e nelle soffitte del centro storico in edifici destinati alla demolizione, in cascine dell’estrema periferia. Per accogliere la nuova presenza operaia la Fiat alla fine degli anni ’50 costruisce le prime case della zona Basse Lingotto. Se negli anni '50 il Comune favoriva l'acquisto delle abitazioni da parte di famiglie con reddito medio-basso, all'inizio degli anni '60 preferisce realizzare baraccamenti provvisori, gestiti da enti comunali di assistenza, e costruisce veri e propri quartieri residenziali per offrire soluzioni abitative definitive. Nel 1962 il Comune delibera l'incremento del piano Torino Casa con la previsione di costruire circa 800 alloggi da assegnare in locazione: al bando si presentano in 13mila. Tra il '63 e il '71 l'intervento pubblico (Gescal, Iacp, Poste, ...) favorisce la costruzione di quasi 17mila alloggi.
Al termine della seconda Guerra mondiale l'aeroporto Gino Lisa a Mirafiori aveva subito pesanti danni e si mostrava insufficiente alle nuove esigenze dei voli civili, e venne perciò abbandonato a favore del nuovo impianto di Caselle. L'area rimase abbandonata e inutilizzata fino al 1963, quando i terreni tornarono di proprietà del Comune che decise di destinarli a edilizia residenziale pubblica: i nuovi quartieri denominati M22, M23 e M24. Nei 47mila metri quadrati dell'ex aeroporto, ora Basse Lingotto, compresi tra l’ex campo volo, le case Fiat di via Onorato Vigliani, il torrente Sangone e il confine con il Comune di Moncalieri, si progettano otto edifici di nove piani costruiti tra il 14 aprile 1965 e il 14 aprile 1966; 780 alloggi realizzati con una tecnica di prefabbricazione integrale, brevetto francese che già era stato definito obsoleto nel Paese d'origine. Di questi appartamenti 87 furono assegnati a famiglie che avevano chiesto un cambio di alloggio, 321 a vincitori di concorso pubblico, 342 a persone trasferite in modo coatto dai baraccamenti delle casermette di Borgo San Paolo (1500 individui, in media 6-7 persone per 35-38 mq, con punte anche di 16-17 persone, indigenti, sinistrati, alluvionati del Polesine, ex internati) e dal casermone di via Verdi (dopo la demolizione del quale fu costruito il Palazzo delle Facoltà umanistiche, Palazzo Nuovo). Gli ex baraccati erano per lo più giovani da fuori del Piemonte, immigrati con la speranza di un miglioramento sociale e economico, che con difficoltà riuscirono poi a far fronte agli affitti relativamente alti imposti dal Comune.
Il nuovo quartiere, denominato “via Artom”, assume una caratterizzazione negativa nell’identità attribuitale dagli altri abitanti di Mirafiori Sud e del resto della città: una concentrazione di persone con un’alta incidenza di problematiche sociali, isolato fisicamente e separato socialmente dalle zone circostanti. Erano dunque nati i quartieri-dormitorio: palazzoni privi di servizi, di scuole, di strade asfaltate, di trasporti pubblici per il collegamento con il resto della città.
Negli stabili di via Fratelli Garrone 73 e di via Artom 99, i primi a essere terminati, vengono tresferiti gli ex baraccati, provenienti da sistemazioni temporanee realizzate per famiglie senza tetto o immigrate, vecchie fabbriche, edifici degradati, ex caserme o edifici appositamente costruiti come il villaggio Anselmetti. Il neosindaco Grosso aveva assunto come suo impegno primario la soppressione di tali alloggiamenti, che costavano alle casse del Comune circa 100 milioni l'anno e rappresentavano, da ormai vent'anni, un grave problema sociale: emarginazione, elevato affollamento, promiscuità, carenze igieniche gravi, insufficienza dei servizi offerti. Nei confronti degli abitanti delle cosiddette "casermette" si compì una vera e propria azione militare: alle prime ore del mattino le abitazioni furono circondate dalla polizia e fatte sgomberare e, man mano che venivano liberate, furono demolite le pareti interne per evitare successive occupazioni di altri senza casa. Se il trasferimento in via Artom rappresentò la fine di un'emergenza cittadina, dall'altro ci fu il timore che l'emergenza non si potesse concludere con un trasloco e che il nuovo quartiere proponesse in verticale anziché in orizzontale gli stessi problemi di prima, condensando in un'unico agglomerato famiglie di una stessa composizione sociale.
Parte degli amministratori stessi nutrivano forti perplessità sulla soluzione adottata, esprimendo, come fece il futuro sindaco di Torino Diego Novelli, la necessità di “non condensare, non concentrare in un unico agglomerato determinate famiglie di una determinata composizione sociale”.
Anche se probabilmente non si trattò di un preciso disegno quanto della maggior facilità di assegnazione per blocchi/gruppi di provenienza, il criterio stesso con il quale furono distribuiti gli alloggi nei caseggiati non agevolò l’integrazione, anzi, non fece che accentuare le divisioni anche interne, oltre a quelle già esistenti con il resto del quartiere e della città. Tre dei palazzi furono infatti destinati agli ex baraccati, tre ai vincitori di concorso, uno fu diviso tra queste due categorie, e l’ultimo fu riservato ai trasferiti.
Come scriveva nei propri verbali negli anni ’70 lo stesso Comitato spontaneo inquilini quartiere Basse Lingotto “il quartiere Basse Lingotto è il tipico quartiere dormitorio della periferia […]. Il posto di lavoro, il centro di svago e di cultura degli abitanti sono localizzati fuori dal quartiere, l’unico gruppo sociale è la famiglia, e ciò favorisce le spinte individualistiche da cui la scarsa partecipazione alle attività del quartiere, e la divisione di esso in tre nuclei, case comunali, case Fiat e case private”.
Tra il 1975 e il 1983 la Giunta di sinistra che governa la città in questo periodo comincia a rivolgere attenzione al quartiere, realizzando in particolare spazi di aggregazione e opportunità per gli anziani (bocciofile) e per i ragazzi (campi di calcio, impianti sportivi), scuole dell’infanzia e dell’obbligo, servizi sociali e sanitari, migliori collegamenti con i trasporti pubblici. Dalla fine degli anni Novanta si possono individuare rinnovati segni di attenzione dell’amministrazione comunale, in particolare l’inclusione della zona Basse Lingotto tra le aree cittadine oggetto di un P.R.U. (Piano di Recupero Urbano) e alcuni interventi che collegano maggiormente il quartiere al territorio circostante (un nuovo ponte sul torrente Sangone, il potenziamento di alcune linee di trasporto pubblico).
Al momento dell’abbattimento dell’edificio di via Garrone 73 e dello smantellamento di via Artom 99, 349 alloggi su 780, il 45 %, erano ancora abitati dagli assegnatari originari o da un familiare o convivente, subentrato per voltura del contratto di locazione; 349 famiglie per quarant’anni hanno abitato, e molte di queste continuano ad abitare, in via Artom, in cui hanno ormai radici profonde.

Approfondisci l'argomento: scarica il pdf della presentazione di Roberto Tricarico -Assessore alla casa del Comune di Torino- al convegno "La città da rottamare" - Roma, 1 dicembre 2006 (700 Kb)